domenica 28 marzo 2010

Non sparate sul pianista

Il jazz nasce a New Orleans e il bruch è forse un'invenzione inglese, ma Parigi prende tutto e molto altro, e lo mette insieme a modo suo, ed è così che mi trovo nella Halle aux Oliviers della Bellevilloise ad abbuffarmi di crêpes e marmellata, croissants e bacon, yogourt e uova e caffè, in ordine casuale, in miscuglio ordinato, mentre sotto di me, in un viavai di camerieri e avventori, tazzine e piatti, un piano accompagna la voce, i suoni, le onomatopee e i sussurri di un'ottima voce, per un ritmo che è sfondo eppure centro dell'intera sala, e anche se di veramente parigino c'è poco (forse solo il burro, che non manca mai), per un attimo chiudo gli occhi e sono in una sala da ballo della belle époque, quando le gonne svolazzanti delle ballerine erano il leit motiv dell'intera serata.

martedì 16 marzo 2010

Conferenze

E' stata una strana sensazione, esporre il poster dei risultati fin qui ottenuti alla conferenza cui ho partecipato la settimana scorsa. Strana, e bella. Sei lì, smanacci un po' per tenere piatto l'A-zero, che piccolo non è e ha voglia di arrotolarsi tutto. Al limite, sei quasi disposto a sdraiartici sopra, in un casto amplesso stirante. Finalmente ne vieni a capo, trovi le puntine, lo immobilizzi nella posizione e voluta; e ti volti. C'è già qualcuno che spia: bene.
A questo punto, non sai più che fare, guardi, aspetti, esiti; ti senti come un venditore di crêpes che addocchia due turisti, che a loro volta addocchiano le crêpes. Dici qualcosa? Richiami l'attenzione? O lasci fare e aspetti che ordinino? Loro osservano il poster, e tu osservi loro, aspettando forse un segno, una domanda, un cenno. Tossicchi, al limite. Finalmente qualcuno ti guarda, guarda il poster, ti riguarda: ha capito. Sei tu Marco Rivetti? Beh, sì, sono io, credo che l'accento mi tradisca un po', no? Mi puoi spiegare questo? Eccomenò? E allora ti lanci, infine, in una lunghissima spiegazione.
Ma ha ragione P.T., dovremmo farci delle magliette con il nostro poster stampato, così tutti saprebbero chi sei, e a chi fare le domande...

sabato 6 marzo 2010

Personaggi d'estate

Visto che in queste settimane non succede nulla di incredibile, e visto che la primavera non vuole saperne di far capolino e mi fa rimpiangere i dì dell'estate che fu, mi tornano alla mente due personaggi, due comparse del viaggio nel sud ovest francese. Personaggi semplici e genuini, specchio del luogo in cui viaggiavamo, quasi irreali, tanto che per un attimo viene voglia di afferrare un oggetto fino a farsi male, per chiedersi ma sarò davvero qui?
Il primo, è il venditore di couscous alle porte della Camargue. E' domenica, e lasciata Marsiglia sembra che la vita sia scomparsa. Ci sono le case, certo, le strade e tutto il resto, ma non ci sono le persone. Attraversiamo paesi fantasma, con il sole allo zenith, come nel vecchio west. E trovare anche solo un bar dove mangiare, appare impossibile. Ci fermiamo in un paese sulle sponde di un lago che non credevo esistesse (siamo a due passi dal mare), e forse non esiste davvero. C'è pure un porticciolo, ma tutto è fantasma. Finalmente, tra le vie di negozi chiusi, un cartello: domenica couscous, sette euro. Evviva. Ma il ristorante sembra non esserci. Eppure, basta guardare bene: il ristorante è una vetrina, e dietro una cucina dei primi del secolo, un lavello, qualche tavolo, due seggiole, pentoloni sui fornelli. Il vecchio proprietario, un uomo alto e magrissimo, dai lineamenti maghrebini, ci accoglie affettuosamente. Ovviamente siamo gli unici clienti. Couscous? Couscous. Mette a riscaldare la pentola, e in un attimo ci serve cibo in abbondanza, ricco di carne e verdura. Quasi esplodo. Ma lui vorrebbe che mangiassimo ancora, e pensa che rifiutiamo per cortesia. Sara gli chiede di poterlo fotografare, e lui posa orgoglioso davanti alle pentole. Se non fosse per quello scatto, penserei che non è mai esistito nemmeno lui.
Sulla strada del ritorno, Sara mi convince che vuol comprare dal foie gras da un venditore sulla strada: siamo vicini a Tolosa, questa è la regione del foie gras. Abbandono la strada e seguo i cartelli, arrivando alla cascina. Il proprietario ci fa strada, festoso. E' l'opposto del maghrebino: basso, tracagnotto, rubicondo. Si vede che mangiare anatre riempie. Lui e la moglie, una donna portoghese finita non si sa come in questo lembo di campagna, ci raccontano vita morte e miracoli dell'anatra, della sua anatomia, dei suoi sapori. Per loro, Sara è ma femme. Ovviamente comperiamo tutti e due qualche scatoletta. E siccome da queste parti non passano molti acquirenti, a lui non par vero di poterci raccontare la sua storia. E allora scopriamo che è un ex soldato dell'ONU, rimasto ferito non ricordo dove, e ad un certo punto della sua vita s'è detto che non valeva la pena di rischiare la vita, e che allevare anatre in guascogna era probabilmente più tranquillo. Come dargli torto. Non ci lascia più, ma è divertente ascoltare i suoi racconti, le sue riflessioni sul mondo e sui giovani. Fino a quando la moglie non si affaccia, e lo sgrida perché non ci fa più partire.